Fleur Jaeggy

Fleur Jaeggy è un’artista, autrice e scrittrice svizzera, nata a Zurigo il 31 luglio 1940.

Bibliografia

Opere

Libri

Fleur Jaeggy, Sono il fratello di XX, Adelphi, Milano, 2014

A un certo punto di questi racconti si parla di una «calma violenta» – e subito si riconosce il timbro e il passo di una scrittrice per cui l’ossimoro è come l’aria che respira, quasi un segno di riconoscimento, fin dal titolo del suo romanzo più famoso, I beati anni del castigo. Del quale Iosif Brodskij scrisse: «Durata della lettura: circa quattro ore. Durata del ricordo, come per l’au­trice, il resto della vita». Non diverso l’ef­fetto di queste storie, talvolta di una brevità lancinante, talvolta dense come un romanzo. Mescolando all’estro fantastico frammenti di ricordi e apparizioni, amalgamati in uno stile dove domina quello che gli etologi chiamano Übersprung, «di­versione»: quello scarto laterale, apparentemente fuori contesto, che è un segreto ancora insondato del comportamento. E, come si mostra qui, della letteratura.

Fleur Jaeggy, Vite congetturali, Adelphi, Milano, 2009

Le esistenze di De Quincey, Keats e Schwob raccontate come tre minuscoli romanzi.

Fleur Jaeggy, Proleterka, Adelphi, Milano, 2001

Proleterka è il nome di una nave. Attraccata a Venezia, aspetta di portare in Grecia un gruppo di rispettabili turisti di lingua tedesca. Gli ultimi a salire sono un signore che zoppica lievemente e sua figlia non ancora sedicenne. Fra padre e figlia c’è un’estraneità totale, e insieme un legame che risale a un tempo remoto e oscuro – e sembra precedere le loro esistenze. In quel viaggio, la figlia vorrebbe conoscere qualcosa di più di quella persona inverosimilmente ignota dagli «occhi chiari e gelidi, innaturali». Ma soprattutto sente una furia di scoprire quell’altra cosa ignota che è la vita stessa, sino allora soltanto fantasticata. E la crociera sulla Proleterka è predestinata a iniziarla: «La Proleterka è il luogo dell’esperienza. Quando finisce il viaggio, lei deve sapere tutto». Un giorno, visto dalla specola del ricordo, il passaggio su quella nave, che aveva la patina vibrante di ciò che accade per la prima volta, diventerà un viaggio nella terra dei morti, fra quegli esseri che «vengono incontro tardi» e «richiamano quando sentono che diventiamo prede ed è ora di andare a caccia». I due viaggi si intersecano e si sovrappongono con una impavida naturalezza, fondendosi in una prosa che sa penetrare come una lama nella zona segreta dove si nasconde l’emozione.

Fleur Jaeggy, La paura del cielo, Adelphi, Milano, 1994

Dopo I beati anni del castigo, il romanzo di cui Iosif Brodskij ha detto: «Durata della lettura: circa quattro ore. Durata del ricordo, come per l’autrice: il resto della vita», Fleur Jaeggy ha scritto sette storie oscuramente complici, rapide e scarne, che sembrano incise da un bulino. Un sottile terrore, un gelo segreto, una subdola propensione al delirio si annidano nei gesti e nei luoghi di questi racconti ironici e violenti. L’aria è ingannevole, appena mossa dal soffio del Föhn, il favonio, vento «dolcemente pericoloso» che inclina allo spleen e alla paura del cielo.

Fleur Jaeggy, I beati anni del castigo, Adelphi, Milano, 1989

Un collegio femminile in Svizzera, nell’Appenzell. Un’atmosfera di idillio e cattività. Arriva una «nuova»: è bella, severa, perfetta, sembra che abbia già vissuto tutto. La protagonista – un’altra interna del collegio – si sente attratta da questa figura, che lascia intravedere qualcosa di quieto e terribile. E il terribile, a poco a poco, si scopre: è la terra di nessuno tra perfezione e follia. Lo stile limpido e nervoso, l’acutezza delle notazioni, l’intensità di questa storia fanno risuonare una corda segreta, quella che si nasconde nell’immaginario collegio da cui tutti siamo usciti. E ci lascia toccati da un’emozione rara, fra lo sconcerto, l’attrazione e il timore, come se al centro di un’aiuola ben curata vedessimo aprirsi una voragine.

Fleur Jaeggy, Le statue d’acqua, Adelphi, Milano, 1980

In un sotterraneo di Amsterdam vive un solitario, Beeklam, circondato da statue. Conversa con loro, evoca ricordi, perde «il controllo delle ore e della vita», esce di rado, per lo più di notte. È uno di «coloro che sono nati persi e debuttano dalla loro fine». Ha lasciato presto il padre, per «andare a comperare statue». In lui, infanzia e vecchiaia si confondono. Una precoce percezione dell’effimero sembra avergli impedito, da sempre, di credere che le cose possano avere una ragione. La sua sola attività è una perenne, silenziosa cerimonia dedicata agli assenti. L’austero domestico che abita con lui, le statue stesse, l’acqua frusciante che lo chiama, dietro le pareti: sono le comparse di un teatro d’ombre dove il vuoto si veste sontuosamente di ogni apparenza. Verso Victor, suo domestico, e Lampe, che era stato domestico del padre, Beeklam sente un’oscura affinità. Ciò che li unisce è almeno la «vocazione del ricordo» e il perverso piacere della rinuncia. Su ciascuno di loro grava una sorta di eccentricità metafisica, ciascuno conserva qualcosa dell’innocenza – e del furore – che è delle persone totalmente sole.
E un giorno Beeklam abbandonerà le statue e i sotterranei, emergendone «come nelle fiabe, carico di anni». Lo ritroveremo in un padiglione vicino a una scogliera che attira i naufragi. Lì, quasi in una böckliniana «isola dei morti», abita Katrin, a cui il tempo ha appena cominciato a rosicchiare le guance infantili. In lei riconosciamo il Doppio femminile di Beeklam. Nella casa di Katrin, e nella sua mente, visitata ancora da incubi di refettori e convitti, si respira un’aria simile a quella in cui erano immerse le statue. I sotterranei di Beeklam si sono ora rovesciati, sotto un cielo sterminato, in un luogo ibrido che appartiene insieme a un mondo parallelo, al sogno e al regno dei morti.
Questo libro è innanzitutto il suo stile. Proprio perché sul fondo vi si avverte una sottile diffidenza verso la parola, le parole vivono qui una vita selvatica e asociale, come gli esseri di cui raccontano. Qui, secondo l’indicazione di Gottfried Benn, «ogni frase deve riposare, tremare, tacere, richiudersi». Un desolato laconismo fa affiorare e dileguare in poche righe ritratti, luoghi, voci, schegge acuminate di storie. E la continua dissociazione, l’ossessività dei fantasmi, l’ironia avvolgente e la disperata euforia del tutto sono tracce di quell’immaginazione vagabonda che ha avuto la sua nascita simbolica con il Lenz di Büchner.

Fleur Jaeggy, L’angelo custode, Adelphi, Milano, 1971

Come se due fra le bambine fissate per l’eternità, da più di un secolo, sulle lastre fotografiche del Reverendo Dodgson, alias Lewis Carroll, avessero improvvisamente ripreso vita, le protagoniste di questo romanzo ci vengono presentate oggi in un luogo imprecisato dell’Inghilterra: Jane – cinque anni, bionda – e Rachel – sette anni, bionda –, sorelle e assai somiglianti, vivono in una loro eletta reclusione, osservate e accudite dal loro amoroso, perplesso tutore Botvid, la cui funzione è di servire più che di comandare. La principale attività delle due bambine, dotate di un cervello «prematuramente meccanico», è la «grande conversazione»: a intervalli, rabbiosamente, si lanciano in dialoghi che toccano tutti i temi più gravi – la morte, il vuoto, il potere, le origini, ecc. ecc., o certi gravi casi della vita, esemplificati in brevi racconti – in un tranquillo farneticare che scandisce il loro normale dormiveglia. Arroganti, severe e malinconiche, le due bambine sembrano sottintendere che di quelle grandi cose sia legittimo e non vergognoso parlare solo alla loro età – e già loro cominciano a dare segni di stanchezza. Per altro non amano mettere la testa fuori dalla porta, come se oppresse da un cumulo di esperienze fatte in vite precedenti. Talvolta, però, fanno delle puntate nel mondo, magari per una visita in manicomio a un loro parente pazzo. Ma i veri avvenimenti si svolgono silenziosamente nella casa: un terzo essere, l’Angelo, si intromette fra le bambine, fa che si accentuino rapinosamente le somiglianze fra le due, che ciascuna si senta in ogni momento accompagnata dal proprio riflesso vivente, che ciascuna tenda un perpetuo agguato all’altra, che ciascuna tessa all’altra un controcanto, a volte beffardo a volte esaltato. È la via dell’esasperazione: Alice, questa volta, non ha da traversare lo specchio, ma da sostenere la prova del vedersi continuamente riflessa, sullo specchio, in un’altra persona. In mezzo a temibili volute ironiche, la storia si avvicina sempre più a una catastrofe, che resta però sospesa: il regno dei fatti non riuscirà a metter piede nella casa delle due sorelle, esse rimangono immobili in equilibrio, sul punto immediatamente precedente allo sgretolarsi. Ferme in uno spazio stagno, di pura discendenza fittizia, le due singolari bambine continuano la loro vita statica, autonoma e lievemente delirante.

Fleur Jaeggy, Il dito in bocca, Adelphi, Milano, 1968

Di fronte a Lung, la giovane protagonista di questo romanzo, i medici, e non solo loro, restano perplessi: Lung non ha mai abbandonato l’abitudine di mettersi il dito in bocca, risponde alle domande mostrando lo smalto delle unghie, racconta lucidamente, leggermente, i fatti della sua vita, ma la chiarezza è apparente ed è facile perdersi fra le sue parole, peraltro scarse; quanto ai fatti, potrebbero far rabbrividire, se non si fosse distratti dal tono agile, sconsiderato e preciso della narratrice.
Lo zio-padre Jochim, la madre Marween, le tragiche storie del piccolo fiammiferaio e dell’amica Armance, l’incontro decisivo e laconico con un grande filosofo, «un caso di entusiasmo» e lo strano caso del professor Walter, la Scimmia Albina, l’enigmatico e sapiente Nathan, Kong, ecc. ecc. – con l’aiuto di tutti questi elementi Lung ci presenta un puzzle che non si chiude da nessun lato, e che possiamo tentare di ricostruire solo perché ci sentiamo guidati con discrezione e talento algebrico.
Nell’insieme pittoresco degli umani, Lung partecipa di una specie a parte, mimetizzata e potente, i neutrali. Chi siano essi esattamente sarebbe presuntuoso dire in due parole. Certa è la loro potenza, e il libro la dimostra in una serie di feroci vicende, che Lung non può fare a meno di scatenare e constatare. Lung, fra l’altro, è in rapporto con i Costoro, esseri indeterminati e determinanti, integralmente neutrali, non necessariamente visibili, il cui intervento può essere funesto o benefico, indulgenti con i loro protetti, distruttivi con gli incauti che li avvicinano senza conoscerli. La famiglia di Lung, per esempio, ne sarà travolta. Comunque, oltre Lung, vari altri personaggi partecipano dell’essenza neutrale – e attraverso di essi veniamo introdotti, con sempre maggiore evidenza e assoluta nonchalance, sulla scena di un teatro fantomatico.
Lung traversa le sue storie senza fermarsi mai, in uno stato di continua sospensione, di dubbia identità, con un passo che ci sembra di vedere per la prima volta – di sonnambula o di veggente – lasciando dietro di sé una costellazione di emblemi aforistici e la traccia di una presenza dimenticata e fondamentale della letteratura: l’ironia romantica.

Discografia

Collaborazioni

Album

Franco Battiato & Pinaxa, Joe Patti’s experimental group, Universal, Milano, 16 settembre 2014

L’isola Elefante
«Stille Dämmerung der Garten ist gefroren die Rosen erlitten sage mir warum in einem verlorenen Garten sage mir warum deine Stimme hören sage mir warum Schweige bitte nicht» (1)
musica di Franco Battiato e Pinaxa; testo di Carlotta Wieck [Fleur Jaeggy]; nuova versione di E. Shackleton
(1) «sage mir warum [gedankenlos wandere ich] in einem verlorenen Garten sage mir warum [eine Antwort] Schweige bitte nicht [ich will keine Versprechen keinen Brief] deine Stimme hören sage mir warum [es brennt ein Lieht] stille Dämmerung der Garten ist gefroren die Rosen erlitten [Verwundungen schweigen]» — Carlotta Wieck [Fleur Jaeggy]

Le voci si faranno presenze
Sai dire addio ai giorni felici ascolta nel fondo dell’ombra una visione ti viene incontro un giorno senza tramonto le voci si faranno presenze
musica di Franco Battiato e Pinaxa; testo di Fleur Jaeggy; nuova versione di Ghost track

Franco Battiato, Dieci stratagemmi, Sony, Milano, 1° ottobre 2004

Il sogno
Il nulla emanava la pietra grigia e attorno campi di zafferano passavano donne bellissime in sete altere
musica di Franco Battiato; testo di Fleur Jaeggy

Franco Battiato, Ferro battuto, Sony, Milano, 13 aprile 2001

Öde
«Er überdeckte die Leere mit einer anderen Leere» (1) «er schrieb an den Rändern des Blattes» (2) «und seine [Schreibweise die] Schwester der Sprache» (3) «er überdeckte die Leere mit einer anderen Leere» (1) «und seine Schreibweise die Schwester der Sprache» (3) «schien selbst um eine Furie ……… zu füllen und verschwinden nachdem alle anderen Gefühlen aufgelöst waren blieb jener milde unerbittliche horror vacui der ihn trieb das Papier zu bedecken zu irrlichtern wie ein Gespenst» (4) «mit einer Konstellation von Zeichen von Gedanken» (5) «warum wieder lesen was geschrieben ist ist geschrieben» (6) «mit einer Konstellation von Zeichen von Gedanken» (5)
musica di Saro Cosentino; testo di Fleur Jaeggy
(1) «sovrapporre al vuoto un altro vuoto» — Fleur Jaeggy, Öde
(2) «scriveva ai margini del foglio» — ibid.
(3) «e la grafia sorella del linguaggio» — ibid.
(4) «sembrava presa da una furia dalla furia di riempire e svanire dissolto ogni altro sentimento rimaneva quel mite e inflessibile horror vacui che lo spingeva a coprire la carte a folleggiare come uno spettro» — ibid.
(5) «con una costellazione di segni di pensieri» — ibid.
(6) «perché poi rileggere ciò che è scritto è scritto» — ibid.

Franco Battiato, Fleurs. Esempi affini di scritture e simili, Universal, Milano, 22 ottobre 1999

Ghost track
Sai dire addio ai giorni felici ascolta nel fondo dell’ombra una visione ti viene incontro un giorno senza tramonto le voci si faranno presenze sai dire addio ai giorni felici
musica di Franco Battiato; testo di Fleur Jaeggy

Franco Battiato, Gommalacca, Polygram, Milano, 24 settembre 1998

E. Shackleton
Una catastrofe psico-cosmica mi sbatte contro le mura del tempo vigilo nel sonno vigilo sentinella che vedi una catastrofe psico-cosmica contro le mura del tempo durante la grande guerra nel gennaio del 1915 alle estremità settentrionali un forte vento spingeva grandi blocchi di ghiaccio galleggianti imprigionando per sempre la nave dell’audace capitano Shackleton su un piccolo battello con due soli compagni navigò fino a raggiungere la Georgia Australe mentre i ventidue superstiti dell’isola Elefante sopportavano un tremendo inverno una catastrofe psico-cosmica mi sbatte contro le mura del tempo vigilo nel sonno vigilo sentinella che vedi alla deriva verso nord nord-ovest profondità 370 metri 72° grado di latitudine est / ……… / per sopravvivere furono costretti a uccidere i loro cani per sopravvivere ma il 30 agosto del 1916 il leggendario capitano compariva a salvarli con un’altra nave / «stille Dämmerung der Garten ist gefroren die Rosen erlitten sage mir warum stille Dämmerung Shackleton sage mir warum in einem verlorenen Garten sage mir warum deine Stimme hören sage mir warum Schweige bitte nicht» (1)
musica di Franco Battiato; testo di Carlotta Wieck [Fleur Jaeggy] e Manlio Sgalambro
(1) «sage mir warum [gedankenlos wandere ich] in einem verlorenen Garten sage mir warum [eine Antwort] Schweige bitte nicht [ich will keine Versprechen keinen Brief] deine Stimme hören sage mir warum [es brennt ein Lieht] stille Dämmerung der Garten ist gefroren die Rosen erlitten [Verwundungen schweigen]» — Carlotta Wieck [Fleur Jaeggy]

Franco Battiato, L’imboscata, Polygram, Milano, 24 ottobre 1996

Splendide previsioni
«Brief an das Nichts unbekanntes Nichts sage mir ein Wort eine Schneenadel jenseits des Schweigens» (1) / le previsioni danno nuvole nere stormi di temporali in arrivo io sono pronto ad ogni evenienza ad ogni nuova partenza un viaggiatore che non sa dove sta andando enormi uccelli d’oro solcano il cielo spruzzi di fuoco dai forni la gente vive senza più testa la specie è in mutazione e non sappiamo dove stiamo andando / «eine Briefmarke mit tropischer Urpflanze die Schatten die sind umgekehrt zaubergrün vergiftetes Grün» (2) «die Hand die schreibt ist ebenso ein Schatten» (3) / you and I will never die standing in the shadows of the night / in un punto altissimo inaccessibile / and I’m never in touch with your heart / le previsioni danno nuvole nere stormi di temporali in arrivo io sono pronto ad ogni evenienza ad ogni nuova partenza e non sappiamo dove stiamo andando / «die Hand die schreibt ist ebenso ein Schatten» (3) «aus der Ferne ein Klang wenn man zuhört ist er schon verschwunden» (4)
musica di Franco Battiato; testo di Carlotta Wieck [Fleur Jaeggy] (in tedesco) e Manlio Sgalambro (in italiano)
(1) «lettera al nulla nulla sconosciuto dimmi una parola ago di neve al di là del silenzio» — Carlotta Wieck [Fleur Jaeggy], Lettera al nulla
(2) «un francobollo con piante tropicali le ombre sono capovolte incanto verde velenoso verde la mano che scrive è ombra» — ibid.
(3) «la mano che scrive è ombra» — ibid.
(4) «da lontano un suono ascoltandolo sparisce» — ibid.

Franco Battiato, Café de la paix, EMI, Milano, 7 ottobre 1993

Atlantide
E gli dei tirarono a sorte si divisero il mondo Zeus la terra Ade gli inferi Poseidon il continente sommerso apparve Atlantide immenso isole e montagne canali simili ad orbite celesti il suo re Atlante conosceva la dottrina della sfera gli astri la geometria la cabala e l’alchimia in alto un tempio sei cavalli alati le statue d’oro d’avorio e oricalco per generazioni la legge dimorò nei principi divini i re mai ebbri delle immense ricchezze e il carattere umano si insinuò e non sopportarono neppure la felicità in un giorno e una notte la distruzione avvenne tornò nell’acqua sparì Atlantide
musica di Franco Battiato; testo di Fleur Jaeggy

Franco Battiato, Come un cammello in una grondaia, 8 novembre 1991

Come un cammello in una grondaia
Vivo come un cammello in una grondaia in questa illustre ed onorata società e ancora sto aspettando un’ottima occasione per acquistare un paio d’ali e abbandonare il pianeta e cosa devono vedere ancora gli occhi e sopportare i demoni feroci della guerra che fingono di pregare eppure lo so bene che dietro a ogni violenza esiste il male se fossi un po’ più furbo non mi lascerei tentare come piombo pesa il cielo questa notte quante pene e inutili dolori
musica di Franco Battiato; testo di Franco Battiato e Fleur Jaeggy

Milva, Svegliando l’amante che dorme, Ricordi, 1989

La piramide di Cheope
Sorge il sole all’orizzonte tra le nuvole guerra e pace sotto il cielo chi tiene schiavi gli uomini tra labirinti ed inquietudini alla radice del pensiero di questa mia terrena immagine ritrovo tracce delle origini e tutto quel che so sapienza immobile sulle navi dei fenici quanti naufraghi le colonne dell’oblio sono chiamate d’Ercole nella clessidra non c’è più la sabbia e sono stata a meditare in cima a quelle scale interne della piramide di Cheope e quella stanza buia la luce illuminò sorge il sole all’orizzonte tra le nuvole alla radice del pensiero di questa mia terrena immagine ritrovo tracce delle origini lungo il Nilo i presagi delle nubili mentre a Smirne i decreti non passavano
musica di Franco Battiato; campionamenti da Pilentse Pee; testo di Franco Battiato e Fleur Jaeggy

Franco Battiato, Fisiognomica, EMI, Milano, 9 aprile 1988

Oceano di silenzio
Un oceano di silenzio scorre lento senza centro né principio cosa avrei visto del mondo senza questa luce che illumina i miei pensieri neri / «der Schmerz der Stillstand des Lebens lassen die Zeit zu lang erscheinen» (1) / quanta pace trova l’anima dentro scorre lento il tempo di altre leggi di un’altra dimensione e scendo dentro un oceano di silenzio sempre in calma / «und mir scheint fast daß eine dunkle Erinnerung mir sagt ich hätte in fernen Zeiten dort oben oder in Wasser gelebt» (2) «der Schmerz der Stillstand des Lebens lassen die Zeit zu lang erscheinen» (1)
musica di Franco Battiato; testo di Franco Battiato
(1) «der Schmerz der Stillstand des Lebens lassen die Zeit zu lang erscheinen» (il dolore l’arresto della vita fanno apparire il tempo troppo lungo) — Fleur Jaeggy, Wasserstatuen, I
(2) «und mir scheint fast daß eine dunkle Erinnerung mir sagt ich hätte in fernen Zeiten dort oben oder in Wasser gelebt» (e mi pare quasi che una oscura reminiscenza mi dica che io vissi lassù o nell’acqua in tempi lontani) — ibid.

Franco Battiato, Orizzonti perduti, EMI, Milano, dicembre 1983

Tramonto occidentale
Tornerà la moda dei vichinghi torneremo a vivere come dei barbari Friedrich Nietzsche era vegetariano scrisse molte lettere a Wagner ed io mi sento un po’ un cannibale e non scrivo mai a nessuno non ho voglia né di leggere o studiare solo passeggiare sempre avanti e indietro lungo il corso o in galleria e il piacere di una sigaretta per il gusto del tabacco non mi fa male tornerà la moda sedentaria dei viaggi immaginari e delle masturbazioni l’analista sa che la famiglia è in crisi da più generazioni per mancanza di padri ed io che sono un solitario non riesco per avere disciplina ci vuole troppa volontà mi piace osservare i miei concittadini specie nei giorni di festa con bandiere fuori dalle macchine all’uscita dello stadio e mi diverte il piacere di una sigaretta per il gusto del tabacco
musica di Franco Battiato; testo di Franco Battiato e Fleur Jaeggy

Franco Battiato, Patriots, EMI, Milano, ottobre 1980

Le aquile
Il vento gonfiava le mie vesti di veramente stabile erano le mie scarpe nere alle caviglie ortopediche un tempo passavo ore in palestra continuai a inseguirla per inerzia la vidi stagliarsi tra alberi e cielo e dopo un piccolo volo camminare monca e rapida avrete anche voi visto camminare le aquile
musica di Franco Battiato e Giusto Pio; testo di Fleur Jaeggy

Franco Battiato, Juke box. Colonna sonora originale del film TV “Brunelleschi”, Ricordi, Milano, maggio 1978

Hiver
En ce temps là je dormais dans un petit lit dans un coin et j’observais cet ami c’est veuf qui partageait son existence avec moi quelquefois dans le crépuscule la monotonie mais j’étais douce et je me pliais ce que je supposais être l’ordre de l’univers il ouvrait les fenêtres pour laisser entrer un peu d’air et quand il neigeait le vent souffler la neige et tous les deux assis on attendait que l’hiver continue
musica di Franco Battiato; testo di Fleur Jaeggy

Singoli

Sibilla, Oppio / Svegliami, 1983

Oppio
Fuochi accesi negli accampamenti nomadi e fumatori d’oppio dall’oriente sui tappeti le visioni riempiranno le mie mani vuote Cartagine era bella in mezzo ai melograni è vero do i numeri dividili con me ho perso la testa ma sto bene anche senza / uru belev sameach (1) / scivolando sulle soglie di nuovi amori con misteriosi nomadi per misteriose mete giochi di prestigio con i fili del destino a quel tempo l’oppio ci costava meno d’una birra è vero do i numeri dividili con me ho perso la testa ma sto bene anche senza / uru belev sameach (1) / l’equilibrio di quel tè alla menta alla Medina e i passi nelle dune fanno l’eco all’universo eravamo ancora dilettanti di delitti Cartagine era bella in mezzo ai melograni / uru belev sameach (1)
musica di Franco Battiato e Giusto Pio; testo di Franco Battiato, Fleur Jaeggy e Sibilla; citazioni dal canto popolare Hava nagila
(1) עורו אחים בלב שמח