Del pensare brevemente Manlio Sgalambro

Alessio Cantarella in Caro misantropo, a cura di Antonio Carulli – Francesco Iannello, La Scuola di Pitagora, Napoli, (giugno) 2015, pp. 273-280

Filosofo per natura
Sgalambro si muoveva in filosofia come un sonnambulo: non badava a dove metteva i piedi, eppure camminava svelto. Era un amateur del cattolicesimo: nella merde delle religioni, lo trovava un gioiello.

Cattivo maestro
Si considerava un cattivo maestro ed era d’accordo con D.F. Strauss: «in un mondo in cui nulla va bene, anche il maestro non può che essere pessimo». D’altronde i suoi maestri furono Laerzio (come il signor Mabeuf) e l’Historia critica philosophiæ di Brucker. Non avrebbe potuto averne di migliori: mentre lo introducevano alla filosofia, lo conducevano fuori. Praticò insomma gli stessi maestri e gli stessi disprezzi di Schopenhauer.

Lo sguardo
Lo dilettava osservare i suoi simili. Poiché un altro lo avrebbe osservato a sua volta, non aveva scrupoli. Intendeva trarre tutto il possibile dallo sguardo. Il pensiero che qualcuno l’avrebbe visto morire, gli rendeva lecita ogni cosa.

Analisi, non sintesi
«Anche quando il filosofo si professa contrario all’analisi, deve farla. Come un meccanico, egli dovrebbe smontare il concetto di Dio in modo da eliminarlo. In molti, invece, si sono proposti di aggiustarlo, per farlo funzionare…».

Agostino
Da qualche parte, riferendosi ai Vangeli, Agostino affermava: «io non vi crederei se la Chiesa non me lo dicesse». Vuol dire che, se la Chiesa non glielo avesse imposto, lui non avrebbe creduto a Kant, né tantomeno a Dio? Ovvero che da «io credo alla Chiesa» deriverebbe tutto il resto? Dunque Agostino credeva a Dio soltanto perché qualcuno glielo aveva detto?

Un solo uomo può popolare la terra
L’idea che tutti i leoni siano un leone solo e tutti gli uomini un solo uomo rendeva perfetto il suo pensiero. «Basterebbe infatti un solo uomo per tutti gli uomini», si trova scritto nella quinta Enneade. È tradizione che chiunque lo legga, individui quell’uno in sé stesso. Egli non era da meno.

Emigrazione interna
Il concetto di «emigrazione interna» fu adoperato da alcuni intellettuali tedeschi, i quali volevano continuare ad abitare nella Germania nazista e tuttavia non volevano vivere del nazismo. Sgalambro interpretava le cose attraverso i concetti e con questa professione doveva pur vivere. La sua emigrazione interna fu il mondo dello spettacolo, dove riuscì a conservare una certa purezza, che sarebbe stata certamente compromessa se avesse prostituito i suoi pensieri in un’università.

Visione tecnologica
Gli piaceva l’implacabile fluidità dei computer. «I vili paventano le macchine e un pensiero che le segua». Credeva che ci fosse poco da paventare e molto da usare.

Pensare diversamente.
Suo padre era socialista e faceva il farmacista a Lentini, durante gli anni del fascismo. Nella sua farmacia si riunivano quelli che la pensavano diversamente, anche sul piano religioso. Il piccolo Manlio ereditò da lui l’attitudine ad esaminare le cose.

Umwertung aller Werte
«L’uomo deve prima forgiare sé stesso. Essere forte con sé stesso significa diventare una coerenza, un valore». Mente a Nietzsche, prego!

Forza e coraggio
Nel corso dei decenni, aveva assistito alle varie decadenze della cultura europea e alla scomparsa della sua letteratura. Trovava Il tramonto dell’Occidente di Spengler un libro adatto a ogni epoca. Invitava ad essere lucidi, a non turarsi gli occhi e le orecchie, per affrontare la miseria della vita con onore.

10 ottobre 1492
«Dopo oltre due mesi senza che i marinai riuscissero a scorgere alcuna terra, vi fu un principio di ammutinamento. Se Cristoforo Colombo avesse ceduto, oggi chi ci venderebbe gli iPad?».

Agire di conseguenza
«Siamo ordinati in maniera tale che una parte degli esseri umani faccia da concime all’altra e questa ci sembra una condizione ineliminabile».

Musica e parole
Alla musicalità della musica preferiva la musicalità della parola; la riteneva superiore. Quando leggeva Schopenhauer, andava in estasi: si inginocchiava e pregava. La Scienza della logica di Hegel gli sembrava un capolavoro di suoni, la più ardita musica: egli l’ascoltava. (Quando si è su un palcoscenico, invece, è sulle sonorità che ci si basa, non sui concetti che si possono dire).

A Pietro Barcellona
«L’individuo non avrà mai uno straccio di significato. Egli è superfluo davanti alla società, come lo è davanti all’universo. Nacque, visse e morì».

I paralipomeni all’irrazionalismo
«Le ondate di umani che si susseguono lasciano sulla spiaggia di sabbia della storia teorie e spiegazioni dell’universo. Le ondate che vengono le portano seco, lasciandone altre. La realtà annuisce a tutte. Essa dà elementi per tutti i sistemi, i più opposti: teismo, ateismo, spiritualismo, materialismo, razionalismo, irrazionalismo».

Dovuta precisazione
«Essere pacifisti è tutt’altro che essere pacifici».

Tutte le macchine al potere!
«Sarebbe meglio farci governare da un computer, che da persone». Auspicava la crisi di questo sistema politico nel suo complesso e, allo stesso tempo, sognava un ringiovanimento culturale e un ritorno al pensiero.

Credere a ciò che si studia
«Studiare una cosa senza crederci, non è studiarla: chi studia il buddismo, almeno per un po’ deve essere buddista».

Dell’indifferenza alla politica
«Il destino di ciascuno di noi non è politico. Ci dovremmo guardare da quei momenti in cui la malasorte e la forza delle cose ci conducono ad avere un destino politico».

La preghiera del mattino
Pensava che i giornali si fossero troppo politicizzati e non avessero l’imparzialità necessaria. Ogni mattina ne sfogliava qualcuno e vi trovava sempre le stesse cose. «L’età si ripete continuamente: non potendo andare né avanti né indietro, torna sempre su sé stessa».

Marciscono anche i pensieri
Sognava di vedere marcire i suoi pensieri. Dopo aver adorato per tanto tempo il pensare, ne voleva vedere il cadavere prima di morire.

La collaborazione con Franco Battiato
«Le canzoni de L’ombrello e la macchina da cucire nacquero tutte in una volta, in una ventina di giorni. Tra di loro avevano dei richiami o delle assonanze che gli davano un’aria lontana dai classici temi metafisici à la Battiato. Certamente fu un album aspro e non si vendette quanto i due successivi – L’imboscata e Gommalacca – che furono dischi poderosi. In seguito la produzione dei dischi si frammentò».

Sull’emozione
«L’emozione è come una puledra selvaggia: ti può condurre lontano, ma può anche farti cadere rovinosamente».

Memoria di Giulia
A diciassette anni conobbe Giulia, una ragazza che vendeva le sue grazie. Furono giorni felici.

Le fedi della ragione, le ragioni della fede
Ignorando i miscugli e gli impasti di fides e ratio, proposti dalla cucina teologica corrente, enunciava la propria fede in Tommaso. Naturalmente ciò non significa credere in Dio. Semmai, come spiegava nel suo Trattato dell’empietà, si può solo credere a Dio.

Risiko
«Il rapporto tra i filosofi non è pacifico, è una lotta militare. L’obiettivo è conquistare quel territorio che ogni filosofo chiama “verità” e difenderlo dagli altri, intessendo una danza di opinioni». Soleva dire: una filosofia che non fa dimenticare tutte le altre, non vale niente. La caducità di una filosofia, aggiungeva, non è che il tacito assenso dato alla sua morte.

Che il calzolaio non vada oltre le scarpe!
Negli anni ’90 andò alla Fiera del Libro a rappresentare la Adelphi con Anatol. Lì conobbe un noto giornalista italiano, il quale gli fece un’osservazione sulle scarpe nere: «Lei sa che con l’abito scuro bisogna portare un paio di scarpe di color marrone?». Sgalambro non lo lasciò ripugnare oltre le scarpe: «Sutor, ne ultra crepidam!».

Il bisogno di Dio
Non rimestava passioni o concetti in parrucca né in toga. Aveva una visione cinica delle cose. Non cinica nel senso di negare l’oggetto, bensì di trovarlo laddove c’è un sentimento, un bisogno nel senso concreto. Mettere Dio assieme ai bisogni gli faceva orrore: «Dio è un superfluo, un qualcosa che si può pensare gratuitamente, non la soddisfazione di un bisogno. Per soddisfare i bisogni c’è il sesso, non Dio!».

Fun Club
Gli si diede l’opportunità di fare un album di canzoni. Accettò perché voleva sperimentare cosa potesse significare mettersi nei panni di un cantante. O forse perché voleva semplicemente parodiarlo?

Donne e potere
Alle donne di potere preferiva il potere delle donne.

Costruire l’atto filosofico
«Il filosofo (ossia colui il quale pensa secondo un determinato rigore o metodo, o entrambe le cose) può filosofare solo attraverso una oggettivazione di quello che pensa. La nebulosa dei suoi pensieri va scomposta e articolata; non basta farlo in un discorso: la scrittura è necessaria. La filosofia è la carta su cui essa è scritta e non può tollerare un chiacchierone come Socrate».

Il mondo è perfetto
In Fede e bellezza di Niccolò Tommaseo, si immaginano due amici che passeggiano in un bosco: uno è un giovane aitante, l’altro è un gobbo. Il primo dice: «Guarda le bellezze che ci circondano, tutto è perfetto!». «E io?» chiede il gobbo. «A modo tuo, anche tu sei perfetto!».

Catania
Qui abitava e viveva felicemente i suoi ultimi giorni, infilandoli come delle pietruzze dentro un filo. Cercava di formare un qualcosa di finito, una piccola collana. Pensava a Marco Aurelio: sapeva di dover sparire e lo voleva «come lo vogliono gli dei».

Deus sive ecclesia
«La Chiesa è l’aspetto sensibile di Dio o, volendo essere eretici al massimo, la Chiesa è Dio. Tutto il resto è bavardage alla parigina».

Terrorista mentale
Era un «intellettuale-bombarolo». Cercava di collocare piccoli esplosivi nei concetti. Non lo appagavano le cose pacate. Lottava contro lo scomparire nella catarticità continua di ciò che uno scrive.

Il tutto è le sue parti
Non si considerava un’unità «compatta». Del resto un’unità compatta può essere una sedia, un oggetto. Pensava piuttosto che gli uomini fossero discrepanze continue: delle parti le cui unità sono solo momentanee.

Addio sole!
«Cleombroto d’Ambracia si gettò da un alto muro dicendo: “Addio sole!”. Non gli era occorso alcun male, commenta Callimaco, aveva solo letto il Fedone».

L’orribile presente
«Il compito della politica è dare speranze per il futuro. Il ruolo della filosofia è molto più semplice: raccontare cosa è la realtà in questo momento, non ciò che ci aspetta. Il filosofo deve rendere il presente tale da essere presente fra un “non più” e un “non ancora”. Così come lo storico deve rendere il passato tale che sia quello che fu o, per dirla con von Ranke, deve potere raccontarlo “con gli occhi di Dio”».
(«Cari politici, la vita va migliorata dentro di noi e non in un tempo sperduto, perché in un tempo sperduto noi non ci saremo!»).

Curiosa superstizione dei suoi tempi
Riteneva che l’uomo fosse ciò che legge, mentre chi pensa potesse avere tutte le religioni ma non questa. Più tardi, si tenne lontano da questa insulsa degenerazione, ma aveva tanto peccato anche lui… Per espiare immaginò che pensare fosse guardare le stelle.

Sulla mafia
«L’esercizio della parola è complesso; non è soltanto descrittivo, ma è anche enfatico: esso dà sangue e linfa alle cose di cui ci si occupa. La mafia è una di quelle cose che non si dovrebbero nominare invano».

Sul pericolo nucleare
«Non sono proprio sicuro che la scissione dell’atomo produrrà altrettante distruzioni di quante ne abbia prodotte la scissione della mente».

Un secolo «magico»
«Viviamo in un’epoca singolare. Sono tornati i princìpi simbolistici e l’astrologia è di nuovo la misura del nostro destino. Abbiamo fatto un passo indietro (o forse due), abbiamo scavalcato l’illuminismo e barcolliamo tra l’astrologia e l’astronomia, tra la magia e la scienza».

Fonte di ispirazione
Trovava che dalle Lettere a Lucilio di Seneca si potessero trarre infiniti testi di canzoni.

L’ultima volta
«Con la morte il corpo si libera dell’anima», diceva.
(La sua convinzione portava ancora le tenere tracce dell’adolescenza, le graziose audacie che non si sa se scalfiscono solo il linguaggio o le cose stesse.)
L’ultima volta che andai a trovarlo, mi parlò di un piccolo libro di Dostoevskij, nel quale sono narrati i dialoghi fra i morti sepolti in un cimitero. Alla fine del racconto, uno di questi personaggi si chiede: «Come mai noi qui parliamo? Infatti siamo morti e tuttavia parliamo; sembra pure che ci muoviamo, e tuttavia non parliamo e non ci muoviamo?! Che giochetti sono questi?». Un altro defunto cerca di spiegare la faccenda: «Quando eravamo ancora vivi, erroneamente, consideravamo la morte di lassù come morte. Sembra invece che qui il corpo, in un certo senso, si vivifichi; i residui della vita si concentrino, ma solamente nella coscienza. La vita, non so come spiegarvi, continua come per inerzia… C’è qui, per esempio, un tale che si è completamente decomposto, ma, una volta ogni sei settimane, ancora tutt’a un tratto borbotta una sola paroletta, naturalmente insensata, su un certo bobok: “bobok, bobok”. Anche in lui, dunque, la vita palpita ancora come una scintilla impercettibile».