L’orrore della verità

Manlio Sgalambro
ℹ️ Cronache Parlamentari Siciliane, gennaio 1995, pp. 31-32 (Intellettuali e politica)

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Da quando l’idea di sovranità cadde assieme alla testa mozza dire e, come se fosse la stessa cosa, la sovranità passò al popolo e tutti divennero re, il mistero dell’autorità parve dissolversi. Ma non perché fosse svelato. Indignazione di De Bonald è comprensibile: «Io temo veramente che i buoni spiriti mi perdonino di non prendere sul serio uno scritto Sulla politica che cominci con la strana asserzione che non vi sia assolutamente bisogno di autorità altrettanto quanto non mi perdonerebbero se io entrassi in discussione con un geometra che cominciasse collegare l’estensione» (De Bonald, Œuvres complètes, II, pp. 596-597).

Il concetto di autorità cadde nelle mani di giuristi e politici rozzi che lo trattarono da pari loro. Sull’autorità, nientemeno, s’era fondato il concetto di verità. Dall’interiorità dell’uomo non uscivano invece che vapori mefitici: Agostino aveva torto. (Del resto lui stesso aveva detto che non avrebbe creduto al corpus scritturario, se la Chiesa non glielo avesse imposto).
La verità, in effetti, si imponeva dall’esterno: come una cosa. In tal senso essa regolò l’Occidente e attorno a un concetto siffatto non nacquero solo saperi, ma un vivere sottoposto a un sapere. Attorno a questa idea, l’Occidente realizzava la nozione di «mondo esterno» e si staccava dai sogni dell’infanzia. Dava un posto alle cose. Realizzava la nozione di un mondo fuori di noi. Di un Dio fuori di noi. Anche la verità era fuori di noi.
L’apporto delle guerre di religioni europee all’affermazione di un concetto di verità siffatto è stato trascurato. Ma coi trattati di Vestfalia (1648) che posero fine alle guerre di religione, tramontò il concetto di verità a carattere universale ed eterno. Dopo di allora questo concetto diventa un concetto per tecnici, per lo più filosofi e logici, che devono solo accertare la correttezza di un giudizio. Il concetto di verità, cioè, perde tutte le caratteristiche viventi. Si smarrisce l’emozione della verità che pochi ormai sentono. Le stesse religioni, ovviamente, subiscono gli effetti della caduta di questo concetto.
Si insinua in esso un elemento pragmatico che se le aveva notevolmente compromesse nel corso della loro storia, non aveva tuttavia mai deciso, come ora avviene, della loro stessa vita e del loro significato. (Il contadino tedesco che nel sedicesimo secolo lotta per la transustanziazione, per la presenza reale del corpo di Cristo, della sua carne e del suo sangue, nell’eucarestia o per la sua presenza simbolica mostra una così intensa emozione di verità che le guerre ideologiche di questo secolo ricordano pallidamente).
Le diverse confessioni cristiane, che si erano combattute in nome della verità, fanno ora le fusa in nome della sopravvivenza. Salvare la vita è il grido ascoltato della politica che indica lo Stato come luogo di questa. salvezza. La politica subentra così alla religione e prende in mano la questione cominciando dal basso. Al posto della verità, subentra ciò che è utile alla conservazione della vita. La rinascita odierna dei cosiddetti «integralismi» religiosi europei è il tentativo di risollevarsi dal colpo subito con la pace religiosa. Si vuole restituire la religione europea alla condizione antecedente alla pace di Vestfalia. In altre parole si vuole trarla fuori dalla sudditanza alla politica e riprendere in mano il problema della salvezza.
Se per ritorno della religione, di cui tanto si parla, si intendesse qualcosa di dolciastro, per anime tenere, l’effondersi di una «squisita» interiorità in spasimi ed ebbrezze, si sbaglierebbe totalmente. Questo ritorno, semmai, avrà le rudi note che caratterizzarono la religione nell’età del suo pieno dominio.
Il malcapitato, che cercasse in essa pace e suffumigi per la sua anima in pena, avrebbe certamente sbagliato indirizzo. Religioni del genere si battono, ma non il petto. Esse individuano nell’«altro», nell’«infedele», il nemico e lo trattano di conseguenza.
Ritornerebbe dunque il problema della salvezza di fronte al quale il problema della vita, nel senso della politica, avrebbe un rilievo inferiore. Salvatori dell’anima e non politici, coloro che prenderebbero in mano la questione non soffrirebbero del minimo dubbio ℹ️ il «guanciale» di Montaigne per una testa ben fatta! ℹ️ e di nuovo il concetto di verità, nel suo senso eterno e universalistico, tornerebbe a dominare tra lutti e sangue. Tornerebbe a dominare l’orrore della verità.
Tuttavia battersi per la verità così intesa rientrerebbe tra quegli atti che deciderebbero se l’umanità è solo una specie ecologica o altro.