Confutazione delle religioni

Giulio Cesare Vanini
ℹ️ © De Martinis & C. Editori, settembre 1993

Il naturalismo outré dell’opera da cui è tratto questo scritto, De admirandis Naturæ deæque mortalium arcanis, non è scopo a se stesso. Vanini ha un suo modo di scrivere che fa presagire segreti. Le ossessionanti citazioni dal Cardano, dallo Scaligero o da Pomponazzi, per dirne alcune, servono a nascondere e a fare apparire in un giuoco impertinente, tre o quattro cose su Dio, tre o quattro battute sulla vita, buttate come a caso e d cui ci si rende conto, forse, troppo tardi. Un ateo? Ma nemmeno per sogno. Un libertino? Troppo poco. Un esprit fort? Certamente. Un empio? Sicuramente. Ecco Vanini. Uno che giuoca il giuoco dell’empietà per intero. Audacia ed erudizione, questo è il suo motto, il suo segno araldico. Tutto ciò che egli dice, è detto ironice. Egli muore, persino, ironicamente. Avviandosi al rogo, un monaco gli presenta il crocifisso da baciare. Ma egli rifiuta. Non accetta, con divina superbia, l’elemosina del paragone con Cristo che, davanti alla morte egli dice, trema e suda di paura e afferma di sé invece “ego imperterritus morior”.
Il De admirandis fu pubblicato nel 1616, in settembre. In ottobre era già esaurito.